VITA PASTORALE N. 3/2009

Arte e liturgia di Micaela Soranzo
L’annunciazione

«L’angelo Gabriele fu mandato da Dio»: è l’annuncio dell’incarnazione,uno dei temi centrali per la fede
cristiana
e per le espressioni artistiche di ogni epoca.

 

La ricchezza dell’iconografia dell’annunciazione è dovuta non solo alla sua importanza dottrinale nell’economia della salvezza, ma anche al culto che la Chiesa le ha sempre reso. Fissata al 25 marzo, nove mesi esatti prima della nascita, la festa si è diffusa in Occidente grazie agli ordini religiosi, soprattutto i Serviti, che dedicarono numerose chiese all’Annunziata.
In epoca paleocristiana Maria era vista come la donna che avrebbe concluso il tempo della maledizione divina cominciata col peccato originale e pertanto l’annunciazione era raffigurata accanto all’episodio in cui Dio maledice il serpente: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe» (Gen 3,15).
I primi esempi iconografici si trovano nelle catacombe di Priscilla e dei Ss. Marcellino e Pietro (III sec.), ma esistono due diverse interpretazioni dell’annuncio dell’angelo, una di origine orientale e l’altra occidentale, diffusasi in epoca medioevale, quando in seguito alla divulgazione della Legenda Aurea, gli artisti arricchirono l’episodio di numerosi particolari iconografici tratti dai racconti dei vangeli apocrifi, con particolare riferimento al Protovangelo di Giacomo (III sec.), al Vangelo dello Pseudo-Matteo (VII-VIII sec.) e alla Natività di Maria (IX sec.).

La tradizione orientale, che si rifà al Vangelo armeno dell’infanzia, mostra l’angelo che appare a Maria due volte: la prima volta senza parlare la incontra al pozzo dove la giovane attingeva l’acqua, la seconda volta in casa,dove Maria era intenta a filare un velo di porpora per il tempio. La prima si può vedere nel Dittico eburneo di Milano (VI sec.), nei mosaici di Daphni e di Santa Sofia di Kiev (XI sec.), o della cappella Palatina e della Martorana,ma entrambe sono raffigurate nel mosaico di San Marco(XII sec.).Maria è presso il pozzo, simbolo di vita e fecondità, come già altre donne dell’Antico Testamento e la brocca è simbolo della Vergine che in quel momento si prepara ad essere a sua volta “recipiente di Cristo”.
A volte il pozzo è sostituito da una fonte zampillante, analoga a quella che Mosè fece scaturire dalla roccia. L’iconografia della Vergine che fila, probabile allusione a Maria-nuova Eva, dato che la progenitrice dopo il peccato era stata condannata a filare, è tipicamente orientale, ma si trova anche in Occidente nei mosaici di Santa Maria Maggiore a Roma (V sec.,_2) e nella cattedra di Massimiano a Ravenna (VI sec.), nei bassorilievi di san Michele a Pavia e nell’Evangelario di Spira (XI sec.).
In Occidente, invece, Maria al momento dell’annuncio non è occupata in lavori materiali, ma legge un libro aperto, secondo l’interpretazione di san Bernardo, sulle pagine con la profezia di Isaia: «Ecco la Vergine concepirà un figlio»; l’immagine della Vergine col libro sostituisce, dunque, la Vergine al pozzo o con la conocchia.
Mentre nelle chiese bizantine l’annunciazione, chiamata anche il “Saluto dell’angelo”, è generalmente raffigurata all’entrata del santuario sull’arco trionfale, la pittura occidentale del Medioevo la pone sul rovescio delle porte dei retabli, come nel Polittico di Gand di Jan Van Eyck (3) o nel Trittico di Colonia.

 

Gli artisti romanici hanno poi dato libero sfogo alla loro inventiva, mossi dal gusto del particolare e del pittoresco.
In un bassorilievo del chiostro di Silos, due angioletti posano una corona regale sul capo di Maria, seduta, davanti alla quale sta l’arcangelo in ginocchio: in questo caso si tratta di una contaminazione tra il tema dell’annunciazione e quello dell’incoronazione della Vergine.
In alternativa l’arte romanica dà il via a una semplificazione del racconto; in una vetrata della cattedrale di Chartres l’angelo ha uno scettro e la Vergine è in piedi davanti a un seggio, ma sul portale occidentale e nella vetrata della chiesa di Saint-Pierre (XIV sec.,_4) lo scettro e il seggio sono scomparsi e restano solo le due figure.
La ricerca dell’astrazione a scapito del realismo sfocerà nelle annunciazioni gotiche, che saranno atemporali, anche se l’annunciazione era spesso unita alla visitazione in relazione all’albero di Jesse.
Nella rappresentazione ci si attiene strettamente all’iconografia tradizionale, simboleggiando il momento del concepimento con l’immagine di una colomba, simbolo dello Spirito Santo, sopra il capo di Maria o posata vicino a lei, come sulle porte di Novgorod (1152). Curioso è un piccolo rilievo in avorio scolpito attorno al 1100 nel Basso Reno: qui, tra Maria e la colomba, si trova una barchetta con Gesù Bambino. Il tema dell’annunciazione domina nell’iconografia occidentale con innumerevoli rappresentazioni e le varianti riguardano soprattutto l’ambientazione: all’interno della casa o della camera, ma anche in un palazzo o in una chiesa, o all’esterno, all’aperto in un giardino, sotto un portico o con lo sfondo della città di Nazaret, come nel codice di Egberto di Treviri (IX sec.). Generalmente la scena è bipartita con l’angelo a sinistra e la Vergine a destra (come quella di Masolino da Panicale, 1428-31, nella basilica di S. Clemente a Roma_1), e la rappresentazione di interni architettonici fu spesso scelta per sottolineare la suddivisione dello spazio in due aree, una riservata alla sfera celeste dell’angelo, l’altra alla condizione terrestre di Maria; talvolta le due zone sono separate da una colonna, sia in scultura che in pittura, oppure sono singolarmente raffigurati nei pennacchi di un arco o nei pannelli laterali di un polittico.

 

A seconda del sentimento che gli artisti hanno voluto far interpretare a Maria e all’angelo, i due personaggi hanno un atteggiamento che li vede prevalere alternativamente l’uno sull’altro. In una prima fase la Vergine sembra passiva nel ricevere l’annuncio e l’angelo ha un aspetto quasi trionfale; successivamente il ruolo dell’angelo, che appare anche genuflesso, sembra diminuire.


Sotto l’influenza delle Meditazioni sulla vita di Cristo dello Pseudo-Bonaventura l’angelo Gabriele si inginocchia davanti alla Vergine, che è ritratta a volte in piedi, alla stessa altezza dell’angelo, a volte seduta o in ginocchio, è in preghiera nella sua camera col Libro delle ore sulle ginocchia o su un leggio, mentre la colomba dello Spirito Santo la copre con le sue ali. Una variante iconografica del XIII sec. inserisce la figura femminile di una serva, che solleva incuriosita una tenda per vedere l’angelo e ascoltare il messaggio divino: è un ricordo dell’episodio veterotestamentario di Sara che sulla soglia alza la tenda, per ascoltare la parola dei tre angeli ai quali Abramo offre ospitalità.


L’angelo, generalmente in candide vesti, nelle prime immagini ha in mano un ramo di palma o di ulivo, simbolo della riconciliazione tra Dio e l’uomo avvenuta mediante l’incarnazione, come nella tavola di Simone Martini, oppure regge uno scettro o un bastone, ma con Pietro Cavallini (5)appare il ramo di giglio, che da questo momento in poi diventerà l’emblema dell’annunciazione e della purezza di Maria.

Anzi, se il giglio termina con tre fiori simboleggia la triplice verginità di Maria (ante partum, in partu, post partum) ed è posto al centro della composizione come fulcro spaziale e simbolico. Nell’arte nordica il giglio di solito è posto in un vaso di maiolica o di cristallo ai piedi della Vergine; a volte è insieme ad altri fiori simbolici, come la rosa della carità e la violetta dell’umiltà, ma anche un’aquilegia blu, fiore della tristezza e allusione ai dolori della madre del Salvatore, mentre nella tela di Zeitblom a Bucarest il giglio è sostituito dal mughetto, sempre immagine di purezza e castità.
Il messaggio dell’angelo talvolta è inciso su fondo oro o appare su un cartiglio posto sulle sue mani: raramente gli angeli sono due o tre, come nella tela di Filippo Lippi (6) o nel dipinto di Andrea del Sarto. Dopo il concilio di Trento, volendo dare all’angelo un carattere meno familiare rispetto alla tradizione precedente, lo si raffigura in volo o tra le nubi.

Il mistero dell’incarnazione, nucleo centrale dell’iconografia dell’annunciazione, è spesso raffigurato attraverso l’immagine della Trinità. Al centro della composizione spaziale bipartita è collocata la figura di Dio Padre, talvolta sostituita dalla mano che invia alla Vergine la colomba dello Spirito Santo. Nel tardo medievo e soprattutto nel XV sec. appare addirittura il motivo del Cristo Bambino inviato dal Padre verso il grembo di Maria; Gesù, che ha il nimbo crociato e reca la croce, segno della sua missione terrena, in alcuni casi è anche preceduto dalla colomba. Questa tipologia, come le tele di Lorenzo Veneziano e Giovanni Santi, si esaurisce dopo il concilio di Trento, che condanna la raffigurazione dell’incarnazione fuori del grembo della Vergine. Poussin ha, invece, fornito due versioni della discesa dello Spirito Santo: nella prima la colomba si posa sul dito dell’angelo, nella seconda l’angelo si inginocchia davanti alla Vergine seduta su un cuscino, mentre la colomba, immersa in un alone di luce, si posa sulla sua testa.
Una particolare interpretazione dell’incarnazione può essere considerata la cicogna posta sull’angolo sinistro della composizione musiva di Edward Burne- Jones nella chiesa di San Paolo dentro le mura a Roma.
Molto interessante è anche l’Annunciazione di Jan van Eyck, poiché contiene raffigurazioni di eventi veterotestamentari con riferimento cristologico, sulle mattonelle della camera dove Maria si trova a pregare; su questa pavimentazione, realmente esistita, sono, infatti, narrati gli episodi di Sansone e i Filistei, di Sansone e Dalila, di Davide che uccide Golia.

Nell’interpretare le reazioni di Maria all’annuncio dell’angelo, gli artisti hanno posto in evidenza i diversi momenti con una diversa gestualità. Botticelli, nella tela degli Uffizi, e Lorenzo Lotto (7) pongono l’accento sulla conturbatio («A queste parole ella fu molto turbata»), il turbamento o addirittura lo spavento provocato dall’arrivo dell’angelo, che alza il braccio con un gesto perentorio, ma si inginocchia, come Maria, davanti al mistero dell’incarnazione.
Lotto, oltre a collocare l’angelo di spalle, pone anche un gatto nero, simbolo dello spirito del male, che fugge spaventato.
Altri artisti mettono in evidenza la cogitatio («E si domandava che senso avesse un saluto come questo»), come Simone Martini (8) o Carpaccio, che presenta Maria appoggiata a un inginocchiatoio in velluto rosso mentre legge. La scena è arricchita di particolari legati alla figura di Maria: vi è l’hortus conclusus, simbolo della sua verginità, un mazzo di garofani, emblema di amore divino e attributo di Maria, e un ampio bestiario simbolico, dal pavone al cardellino, simbolo della passione, alle rondini che annunciano la nuova stagione, cioè l’era cristiana, con riferimento sia alla risurrezione che all’incarnazione.
Numerosi artisti hanno associato l’immagine di Maria ad animali e piante simbolici, come il cipresso, il tulipano e Leonardo pone anche la conchiglia.
L’interrogatio («Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”») è l’atteggiamento dell’annunciazione di Piero della Francesca (9) o di Raffaello, che ambienta la scena sotto un porticato come previsto dall’iconografia rinascimentale.
L’angelo ha la veste mossa dal vento, poiché è appena arrivato in volo, mentre la Vergine ha la veste rossa e il manto blu, per indicare la sua umanità che si è rivestita della divinità del Figlio. Il mistero dell’incarnazione è qui espresso attraverso l’immagine della Trinità: infatti c’è Dio Padre, raffigurato come un vecchio con la barba bianca che sta fra le nuvole e regge il mondo nella mano sinistra, che invia lo Spirito Santo in forma di colomba. Il paesaggio è caratterizzato dalla luce dell’alba, del sole che sta per sorgere e quel sole è Cristo: è il tempo dell’incarnazione.
Il beato Angelico (10), invece, raffigura la humiliatio («Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore:avvenga per me secondo la tua parola”»): la Vergine ha le braccia incrociate sul petto, mentre l’angelo,con delle stupende ali iridescenti, che riprendono l’iconografia angelica dell’Antico Testamento, con una tteggiamento di preghiera e devozione si inchina di fronte a lei. L’Angelico ha affrontato diverse volte questo tema, talvolta inserendovi, a sinistra della scena,le figure dei progenitori cacciati dal Paradiso terrestre, con l’intento di sottolineare il messaggio di salvezza rivolto a Maria: Maria sarà la Nuova-Eva e il figlio il Nuovo-Adamo.
Il giardino edenico è caratterizzato anche dalle numerose specie di fiori, frutti e piante, tutti simbolici, tra i quali si vedono la palma e un albero di arance, simboli del paradiso. In fine vi è la meditatio («E l’angelo si allontanò da lei»), cioè la rappresentazione della sola Vergine detta “Annunziata”.
Successivamente l’iconografia ha ripetuto modelli già esistenti: fa eccezione l’Annunciazione di Dante Gabriele Rossetti (1850) in cui, però, non vi è più alcuna traccia della devozione e maestosità connesse un tempo alle rappresentazioni di Maria, che ora è una ragazza timida e all’ingresso dell’angelo si rannicchia in un angolo del letto. Della fine dell’800 è la tela di Maurice Denis che, pur rifacendosi a temi iconografici tradizionali, come il ramo di giglio sul davanzale, inserisce la scena in un interno contemporaneo. Di gusto surrealista è l’Annunciazione di Salvador Dalì ai Musei vaticani; una delle ultime è quella di Igor Mitoraj nelle porte di
S. Maria degli Angeli in Roma (2006,_11).

Micaela Soranzo

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