VITA PASTORALE N. 3/2009 |
La ricchezza dell’iconografia dell’annunciazione è dovuta non solo alla sua importanza dottrinale nell’economia della salvezza, ma anche al culto che la Chiesa le ha sempre reso. Fissata al 25 marzo, nove mesi esatti prima della nascita, la festa si è diffusa in Occidente grazie agli ordini religiosi, soprattutto i Serviti, che dedicarono numerose chiese all’Annunziata. La tradizione orientale, che si rifà al Vangelo armeno dell’infanzia, mostra l’angelo che appare a Maria due volte: la prima volta senza parlare la incontra al pozzo dove la giovane attingeva l’acqua, la seconda volta in casa,dove Maria era intenta a filare un velo di porpora per il tempio. La prima si può vedere nel Dittico eburneo di Milano (VI sec.), nei mosaici di Daphni e di Santa Sofia di Kiev (XI sec.), o della cappella Palatina e della Martorana,ma entrambe sono raffigurate nel mosaico di San Marco(XII sec.).Maria è presso il pozzo, simbolo di vita e fecondità, come già altre donne dell’Antico Testamento e la brocca è simbolo della Vergine che in quel momento si prepara ad essere a sua volta “recipiente di Cristo”.
Gli artisti romanici hanno poi dato libero sfogo alla loro inventiva, mossi dal gusto del particolare e del pittoresco.
A seconda del sentimento che gli artisti hanno voluto far interpretare a Maria e all’angelo, i due personaggi hanno un atteggiamento che li vede prevalere alternativamente l’uno sull’altro. In una prima fase la Vergine sembra passiva nel ricevere l’annuncio e l’angelo ha un aspetto quasi trionfale; successivamente il ruolo dell’angelo, che appare anche genuflesso, sembra diminuire.
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Anzi, se il giglio termina con tre fiori simboleggia la triplice verginità di Maria (ante partum, in partu, post partum) ed è posto al centro della composizione come fulcro spaziale e simbolico. Nell’arte nordica il giglio di solito è posto in un vaso di maiolica o di cristallo ai piedi della Vergine; a volte è insieme ad altri fiori simbolici, come la rosa della carità e la violetta dell’umiltà, ma anche un’aquilegia blu, fiore della tristezza e allusione ai dolori della madre del Salvatore, mentre nella tela di Zeitblom a Bucarest il giglio è sostituito dal mughetto, sempre immagine di purezza e castità. Il mistero dell’incarnazione, nucleo centrale dell’iconografia dell’annunciazione, è spesso raffigurato attraverso l’immagine della Trinità. Al centro della composizione spaziale bipartita è collocata la figura di Dio Padre, talvolta sostituita dalla mano che invia alla Vergine la colomba dello Spirito Santo. Nel tardo medievo e soprattutto nel XV sec. appare addirittura il motivo del Cristo Bambino inviato dal Padre verso il grembo di Maria; Gesù, che ha il nimbo crociato e reca la croce, segno della sua missione terrena, in alcuni casi è anche preceduto dalla colomba. Questa tipologia, come le tele di Lorenzo Veneziano e Giovanni Santi, si esaurisce dopo il concilio di Trento, che condanna la raffigurazione dell’incarnazione fuori del grembo della Vergine. Poussin ha, invece, fornito due versioni della discesa dello Spirito Santo: nella prima la colomba si posa sul dito dell’angelo, nella seconda l’angelo si inginocchia davanti alla Vergine seduta su un cuscino, mentre la colomba, immersa in un alone di luce, si posa sulla sua testa. Nell’interpretare le reazioni di Maria all’annuncio dell’angelo, gli artisti hanno posto in evidenza i diversi momenti con una diversa gestualità. Botticelli, nella tela degli Uffizi, e Lorenzo Lotto (7) pongono l’accento sulla conturbatio («A queste parole ella fu molto turbata»), il turbamento o addirittura lo spavento provocato dall’arrivo dell’angelo, che alza il braccio con un gesto perentorio, ma si inginocchia, come Maria, davanti al mistero dell’incarnazione. Micaela Soranzo |